Stiamo celebrando la 2ª domenica di Quaresima che, ogni anno, ricorda la trasfigurazione di Gesù, durante la quale si ode la voce del Padre che dice di essere soddisfatto di suo Figlio, perchè compie la sua volontà cioè, è fedele alla sua vocazione, tema che riecheggia anche nella 1ª e 2ª lettura.
La 1ª lettura ci presenta la vocazione di Abramo, figura centrale nella Bibbia. Oggi, due miliardi di credenti riconoscono in Abramo il patriarca della loro fede: l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam. La sua storia cominca 1500-1700 anni prima della nascita di Cristo. Dopo una forte esperinza di Dio, Abramo si sente chiamato ad uscire dal suo paese, dalla sua patria e dalla casa di tuo padre … cioè operare un distacco da tutto e da tutti, La missione è talmente grande che deve essere totalmente libero, deve dare un taglio al suo passato. E Dio non gli dice dove la condurrà, non gli parla delle difficoltà che incontrerà, potrebbe scoraggiarlo; lo saprà poco alla volta. E Abramo non fa nessuna domanda: dove mi condurrai? Cosa dovrò fare? Che intendi fare di me? Ascolta in silenzio, senza spiegazioni e senza commenti: si affida totalmemnte a Dio. Ma al centro del brano che abbiamo letto c’è una parola che ricorre 5 volte: benedizione. Abramo sarà benedetto, e lui porterà questa benedizione a tutte le famiglie della terra. Anche noi siamo chiamati con il Battesimo ad essere strumenti di benedizione … testimoni di questa bontà di Dio, del suo sguardo benevolo verso l’umanità ferita dal peccato. Ma cosa c’è dietro a questa storia di Abramo? Il brano che abbiamo letto si incontra nella Bibbia subito dopo la storia del peccato originale e dei peccati di Caino e degli abitanti di Babele.
Davanti alla costatazione della corruzione umana, si arriva a dire che Dio “si pentì di aver creato l’uomo e se ne addolorò in cuor suo” (Gn 6,2), nonostante dopo la crazione dell’uomo, la Bibbia dice che Dio vide che quest’opera era “molto buona!” (Gn 1,31). Ma Dio non si rassegna a vedere l’uomo, creato a sua immagine, sfigurato e lontano da sè. Abramo è chiamato a ripristinare questa vicinanza: in lui, benedetto, tutti saranno benedetti. Ma, la benedizione sarà completa e, di fatto, estesa a tutte le nazioni con Gesù Cristo, il definitivo intervento di Dio.
E di questo intervento di Dio ci parla il vangelo di oggi che inizia dicendo: “Sei giorni prima”, da quando Gesù aveva chiesto ai discepoli che cosa pensava di lui la gente. I discepoli gli presentarono le idee che circolavano su di Lui: “Alcuni dicono che sei Giovanni Battista, altri Elia; altri dicono che sei un profeta” (Lc 9,19). Pietro, prendendo la parola in nome di tutti, professa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Gesù si era ormai diretto decisamente verso Gerusalemme e sapeva cosa lo aspettava, per cui, corregge l’idea di un Messia trionfalista che i discepoli avevano, e per tre volte, avvisa che sarebbe stato preso, condannato e ucciso, ma che sarebbe risorto. I discepoli, già al primo annuncio della passione, rimasero sconvolti perchè la morte del Maestro sarebbe stata anche la loro sconfitta. Gesù vuole incoraggiarli con la sua trasfigurazione, cioè con la manifestazione della sua divinità.
Nella trasfigurazione entrano in scena due personaggi eccellenti che testimoniano: Mosè (il padre, il liberatore, il legislatore) ed Elia (il profeta dalla parola di fuoco, che arde per lo zelo di Dio). Ma c’è anche un terzo personaggio d’eccezione: Dio Padre. Mosè ed Elia rappresentano la Parola di Dio, e sono là per dire ai tre discepoli: abbiate fiducia in Lui, seguitelo, la sua morte non sarà l’ultima parola. E la voce di Dio Padre conferma la testimonianza di Mosè ed Elia: “Questi è il mio Figlio, l’amato nel quale mi sono compiaciuto”. Sapendosi amato dal Padre, Gesù ama, fino a dare la propria vita per noi. Egli compie in modo perfetto la sua chiamata, la sua vocazione a servizio dell’ umanità, da qui l’invito del Padre: “ascoltatelo” cioè, vale la pena seguirlo, non vi pentirete, la morte è solo un passaggio per arrivare alla gloria. Anche a noi, in cammino verso la Gerusalemme celeste… non mancano le difficoltà, perplessità, scoraggiamenti .. ascoltiamolo … non perdiamoci d’animo!
Lo spettacolo è talmente bello che Pietro esclama entusiasta: “E’ bello per noi stare qui” (v. 4). Lui che era rimasto sconvolto dall’annuncio della passione, si esalta nel vedere la gloria di Gesù al punto che vorrebbe fermarsi, ignorando tutto il resto: “Se vuoi farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia” (v. 4). Il vangelo di Marco aggiunge: “Non sapeva infatti che cosa dire” (Mc 9,6). Si, perchè Gesù é sempre in cammino; bisognava continuare il viaggio verso Gerusalemme, dove sulla croce, avrebbe compiuto la sua missione terrena. Per questo, lo stesso Gesù, ai discepoli che erano caduti con la faccia per terra, dopo aver udito le parole del Padre, dice loro: “Alzatevi” (v. 7). Infatti, la trasfigurazione é come il viatico, una forza che deve aiutargli a proseguire il viaggio sulla via del calvario. Gesù li scuote e loro si avviano, certamente a malincuore, dove ritrovano gli altri apostoli e la folla, e dove ritroveranno la fatica, i dubbi e il contrasto tra la loro visione e quella di Gesù, che sà di dover passare per la passione.
“E’ bello stare qui”: non vorremmo sentir parlare di dolore, di lutti, di preoccupazioni. Proprio come ci succede in certi momenti di serenità, di soddisfazione per una celebrazione commovente. Questi momenti sono belli, ma servono a rincuorarci per riprender il cammino. Gesù ci scuote: “Alzatevi”, e ci ributta nel vortice della vita, tra pene, preoccupazioni, contrasti e dubbi. Questo è il destino di ogni uomo, credente o non credente! Ma il discepolo deve distinguersi da uno che non ha la fede. E come distinguersi? Dalla risposta che darà a quel “Alzati! e cammina”. Per Abramo significò uscire dalla sua terra, dal tuo paese, dalla tua patria, dove aveva le sue sicurezze. Quel’: “Alzati e và” è un comando doloroso, ma non capriccioso da parte di Dio, perchè in “Abramo saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Come Abramo, anche noi abbiamo pronunciato il nostro “eccomi” nel battesimo; lo abbiamo ripetuto nel giorno della Prima Comunine e della Cresima; nel giorno del matrimonio, della consacrazione religiosa o sacerdotale. La Chiesa ci richiama, a diverse riprese, a riprendere e rendere sempre pià cosciente quella scelta. La Quaresima è l’occasione per eccellenza per riportare alla luce questo impegno di discepoli e testimoni, che può essere rimasto sepolto nell’opacità della vita quotidiana. Come Abramo e i tre discepoli siamo invitati ad alzarci e metterci in cammino; ad uscire dalla routine della vita; in una parola, andare coraggiosamente incontro alla volontà di Dio. Perchè, come dice san Paolo nella 2ª lettura: “Dio ci ha chiamati ad una vocazione santa” (v. 8).
Un buon proseguimento della quaresima!