Stiamo celebrando la 5ª domenica dopo Pasqua, la meta del nostro cammino è Pentecoste, quando lo Spirito del Risuscitato sarà comunicato anche a noi. Il vangelo di domenica scorsa ci ha dato la convinzione che, dopo l’Incarnazione, non si va a Dio senza passare per Cristo: “Io sono la porta” che si apre su uno spazio senza limiti, la porta che apre il cammino verso la Trinità, nostra ultima meta.

Il vangelo di oggi ci presenta il discorso di addio di Gesù nell’ultima cena. Ci sono due scene che si completano. La prima ha come protagonista l’apostolo Tommaso che non comprende l’affermazione di Gesù: “Vado a prepararvi un posto …e del luogo dove io vado vi conoscete a via” (v. 3.4). La replica di Tommaso sembra comprensibile: “Non Sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?” (v. 5). Ed è qui la rivelazione: “Io sono la via, la verità e la vita (v.6). Gesù si proclama la via perchè è il mediatore tra Dio e gli uomini, la verità perchè è il rivelatore del Padre, la vita perchè ci da la comunione con Dio/Trinità. Nell’ascoltare la sua voce, nel vedere e fare quello che Lui fa, siamo condotti a Dio e ai fratelli: Lui è la via, il cammino, il modello, l’esempio per arrivare alla meta: il Padre. Gesù è venuto dal Padre per ricondurci al Padre: Lui è la vita! Ed è qui che si apre la seconda scena del vangelo di oggi, con la commovente richiesta di Filippo: “Mostraci il Padre e questo ci basta!” (v. 8). Gesù parlava sempre, dovunque del Padre e lo faveva in un modo che incantava, proprio come lo testimoniano i soldati incaricati di portare Gesù davanti al Sinedrio. Alla domanda inquisitoria dei membri del tribunale: “Perchè non lo avete condotto qui?”, essi rispondono: “Mai un uomo ha parlato come quest’uomo” (Gv 7,46).

Alla richesta di Filippo Gesù risponde: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo!” E, in tono quasi disarmato, aggiunge: “come puoi tu dire ‘mostrami il Padre!’” (v. 9). E, con la pazienza che lo caratterizza, Gesù continua a fare una rivelazione di sè e del Padre, che ha dell’inaudito, da vertigini nella fede: “Chi ha visto me ha visto il PadreIo sono nel Padre e il Padre è in me”. E il segno per capirlo sono le opere che Gesù compie; esse testimoniano la perfetta unità di Gesù con il Padre. I miracoli di Gesù non si spiegano senza questa unità. Gesù sta parlando della sua natura divina, la stessa del Padre: Gesù è Dio come il Padre! Anche noi, come Filippo, chiediamo a Gesù di avere una comprensine sempre più profonda del Padre; nella nostra povertà, continuiamo a chiedere: “Gesù, mostraci il Padre”, e la nostra vita sarà sazia perchè, “questo ci basta!”.

Gesù pronuncia il suo discorso d’addio prima di affrontare la passione, per questo aggiunge. “Non sia turbato il vostro cuore” (v. 1). E continua a dirlo anche a noi. Ma cosa fare perchè nei drammi della nostra vita, il cuore non si turbi!  Gesù ci indica due rimedi. Il primo è: “abbiate fiducia in me”. Gesù sa che l’ansia peggiore, il turbamento,            nasce dalla senzazione di non farcela, di sentrisi soli e senza punti di riferimento. Questa angoscia non si può superare da soli; per questo abbiamo bisogno di Lui. E per questo ci chiede: “Abbiate fiducia in me”; chiede di non appoggiarci a noi stessi, ma a Lui, perchè la liberazione del turbamento passa attraverso l’affidamento. Il secondo rimedio al turbamento Gesù l’a indicato così: “Nella casa del Padre ci sono molte dimore, vado a prepararvi un posto” (v. 2). Ha preso la nostra povera umanità per portarla oltre la morte. Siamo fatti per il cielo; qui siamo di passaggio; non possiamo dimenticarlo mai. Non viviamo senza meta e senza destinazione: siano attesi, siamo preziosi; il Padre ci attende. Ma come arrivare a questa destinazione? Ecco la frase decisiva di Gesù: “Io sono la via” (v. 6). Ma come seguirlo? Certamente non per la via della mondanità, per la via dell’autoaffermazione, del potere egoista. È seguendo la via dell’amore umile, della preghiera, della mitezza, del servizio agli altri: è la via percorsa da Gesù.

Questo stile di vita porta a dei cambiamenti, come l’abbiamo visto nelle domeniche precedenti a proposito dei cristiani della Comunità di Gerusalemme, presentati negli Atti degli Apostoli: erano assidui nell’ascolto della Parola, nella condivisone dei beni, nella preghiera comune e nello spezzare il pane dell’Eucaristia. Per questa profonda unità d’intenti, apparivano agli altri come un cuor solo ed un’anima sola. La lettura di oggi ci ripresenta la prima Comunità cristiana di Gerusalemme in sorprendente aumento … e, con questo, le prime difficoltà di convivenza. Questa Comunità era composta di soli giudei che però formavano due gruppi distinti: gli ebrei, che nabitavano nella Palestina e parlavano ramaico e gli ellenisti (greci), giudei che non abitavano nella Palestina e ormai non parlavano più l’aramaico, ma il greco. Gli ellenisti, lontani dal loro ambiente e dalle loro tradizioni, erano di spirito più libero ed erano mal visti. Questi si lamentarono che le loro vedove non ricevevano la stessa attenzione delle vedove ebree … non era per caso ..! La famiglia cresce, crescono anche le difficoltà … ma queste devono essere superate… La Comunità non è composta da angeli … ci sono mentalità, sensibilità e necesità diverse. Gli Apostoli, convocata la Comunità, propongono una soluzione: dare l’incarico di assistere i poveri a un gruppo scelto tra quelli che godevano della stima e fiducia di tutti. Gli apostoli avranno cosi più libertà per dedicarsi alla preghiera e all’annunzio del Vangelo. La difficoltà non ha diviso la Comunità, anzi essa ne è uscita più matura. È un momento importante perchè permette alla comunità di organizzarsi; le necessità portano alla crezione di nuovi ministeri/servizi. San Paolo, più tardi, parlerà della diversità dei ministeri nella Chiesa (1Cor 12,4-11). Organizzandosi meglio, con la distribuzione di ruoli all’interno della Comunità, si ha come effetto una maggiore condivisione nelle responsabilità e una migliore diffusione della Parola di Dio.

Sorgono i primi ministrri/servizi. Grazie all’uguaglianza fondamentale costituita dal battesimo, l’unico titolo onorifico nella Chiesa è quello di servo: “Chi tra voi è il più importate diventi come il più piccolo; chi comanda diventi come quello che serve” (Lc 22,26). Tutti a servizio di tutti, per il bene di tutti. Così ogni cristiano diventa una pietra viva per la costruzione della Chiesa, ognuno secondo la sua condizione, con la missione di annunciare il Vangelo. In questo periodo, in tuta la Chiesa si sta lavorando intorno alla sinodalità: riscoprire cammini per lavorare insieme. Nella storia si è verificata una concentrazione delle responsabilità nel clero, relegando la maggioranza dei battezzati a un secondo piano, ad un ruolo di spettatori. Questo  tema è di somma importanza perchè spiega la natura e la missione del battezzato nel mondo, in un parola la missione del laico, alla quale il Concilio Vaticano II ha dedicato un Documento (Dectero sull’Apostolado dei Laici). I battezzati sono un popolo di sacerdoti e profeti. L’impegno è stato delineato dallo stesso Gesù: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo” (Mt 5,13-14): Il laico cristiano è il sacerdote nel mondo. O, come diceva l’autore della celebre Lettera a Diogneto: “Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani” (6,1). Così “il cielo nuovo e la terra nuova” (Ap 21,1) cominciano ad apparire già sulla terra, sul mondo, così trasfigurato. Buona domenica.