(Is 50,4-7; Fl 2,6.11;Mt 26,27-66)

Con la Domenica delle Palme si apre la grande settimana – la settimana santa – nella quale la Chiesa celebra i misteri della passione, morte e risurrezione di Gesù: è il Triduo pasquale, il cuore dell’anno liturgico. Come il popolo di Gerusalemme, oggi siamo invitati a sollevare i nostri rami, riconoscendo che il Messia è in mezzo a noi come salvatore che apre all’umanità l’orizzonte della speranza. Gesù, che si era sempre oposto ad ogni manifestazione pubblica, e che era fuggito quando il popolo voleva farlo re (Gv 6,15), oggi si lascia portare in trionfo! Solo ora, che sta per essere portato alla morte, accetta di essere acclamato come Messia.

La 1ª lettura fa da introduzione alla comprensione del vangelo di oggi. Nella seconda parte del libro di Isaia appare un personaggio misterioso, si tratta del servo del Signore, il servo sofferente. Per compiere questa missione ha ricevuto da Dio un orecchio capace di ascoltare, e una lingua capace di annunziare il messaggio di consolazione a chi é abbattuto e senza speranza. In questa missione, davanti all’opposizione, non si é tirato indietro. Dopo la passione e la Pasqua, i cristiani hanno indentificato questo servo con Gesù.  Abbiamo ascoltato la passione di Gesù secondo Matteo. Tutti gli evangelisti hanno dedicato uno spazio considerevole a questo racconto, distaccando alcuni temi di catechesi significativi per le loro comunità. La narrazione di Mt ci presenta tutta la drammaticità: Gesù, colui che incantava le folle per la buona notizia che annunciava, colui che parlava come nessun altro, è abbandonato da tutti, dalle folle beneficiate, dalle autorità, dai discepoli. Neppure gli amici più fidati, che hanno convissuto con Gesù, gli sono rimasti accanto: tutti fuggono e Gesù fallisce! Ma Lui, che si presenta come il Figlio di Dio, rimane fedele fino alla fine. Non sarà solo un discendente di Davide che rivendica per sè il regno, ma colui che, pur essendo Figlio di Dio, viene per diventare uomo in mezzo agli uomini. In questa solitudine totale, in questo clima di violenza, non risponde con violenza alla violenza; non giudica nessuno, anzi chiede il perdono per i suoi assassini e, al culmine dell’abbandono, è capace di rivolgersi al Padre, rimettendo nelle sue mani lo spirito. È stato condannato perchè ha amato e ha insegnato ad amare! Vediamone la lettura che ne fa l’evangelista  Matteo.

– Tutto é visto come adempimento delle Scritture (Mt 26,24.56), che parlano del dramma del giusto condannato. Matteo lo fa per aiutare i lettori ad andare oltre il fatto di cronaca della passione e morte di Gesù, e cogliere il significato profondo di quanto sta accadendo. Egli scrive per i giudeo-cristiani che, istruiti dalla catechesi dai rabbini hanno in mente un Messia vincitore, potente e dominatore: non sarebbe  nulla di nuovo nella storia segnata dal potere e dalla violenza. Ma, davanti al fallimento, chi potrebbe presentare Gesù come il Messia? A coloro che si scandalizzano davanti a questo scenario, l’evangelista Matteo risponde che le Scritture annunciano un Messia umiliato, perseguitato e ucciso. Cristo si è caricato del dolore e delle sofferenze dell’umanità, facendosi così compagno di viaggio di ogni uomo sofferente e oppresso.

Ripudio della violenza e delle armi. A Pietro che impugna la spada Gesù ordina: “Rimetti la spada nel fodero” (26,52). Tertulliano, uno dei primi scrittori cristiani dirà: “Disarmato Pietro, Gesù ha tolto le armi di mano a ogni soldato” e, qualche decennio più tardi, gli farà eco il biblista Origene: “Noi cristiani non impugniamo più la spada, non impariamo l’arte della guerra perché, attraverso Gesù, siamo diventati figli della pace”. La catechesi di Matteo ci dice che il disceplo di Gesù dev’essere disposto, come il Maestro, a dare la vita per il fratello; mai, per nessuna ragione, ucciderlo. Questo fondamentale insegnamento è stato spesso dimenticano nella storia, con le tragiche conseguenze che tutti conosciamo e, tutt’ora, ne facciamo triste esperianza!

L’universalità della salvezza. Nessuno ha l’esclusività della salvazza; il popolo ebreo aveva la missione di preparare la venuta del Regno, ed era invitato ad entrare per primo … ma  non ha accolto questo invito, provocando lacerazioni e molta sofferenza nelle prime comunità cristiane. L’espressione massima del rifiuto di accogliere il Messia sta nella frase: “Il suo sangue cada su di noi e sui nostri figli” (27,25) data dalla folla a Pilato che tentava liberare Gesù.

– Il sorgere di un mondo nuovo. Soltanto Matteo narra i fatti straordinari accaduti alla morte di Gesù: la terra si scosse, le roccie si spezzarono, i morti risuscitarono (27,51-56). La letteratura di quel tempo diceva che dopo il dominio del male sarebbe nato un nuovo mondo, e che in questo passaggio il sole si sarebbe oscurato, gli alberi avrebbero versato sangue, le pietre si sarebbero spaccate emettendo grida, e i morti sarebbero riscuscitati. Rievocando questa letteratura, Matteo fa una lettura teologica della morte di Gesù: con la sua venuta, la sua morte e risurrezione, nasce un mondo nuovo. È un messaggio di gioia e speranza. La storia ha aperto una nuova pagina: il Regno di Dio é iniziato quando sulla croce Gesù ha rivelato tutto il suo amore e l’interesse per il destino dell’uomo.

La morte di Giuda: riferita solo da Matteo. Giuda è l’esempio di coloro che seguono per un certo tempo il Maestro, ma che lo abbandonano e, addirittura, gli si mettono contro, quando Egli non realizza i loro sogni di gloria e la sete di potere. Giuda è una figura patetica e triste che tra i discepoli, sembra, non contava amici. Ma è una figura che merita rispetto e pietà. Quando si rese conto che l’unico che lo amava – Gesù lo chiama amico – andava incontro alla morte, dev’essersi sentito terribilmente solo a portare il peso del suo errore. È andato a sfogare il suo  rimorso e pentimento a persone sbagliate che si erano servite di lui … se si fosse rivolto a Gesù …?

– Le guardie a custodia del sepolcro sono il segno del trionfo del male; la loro presenza mostra che il giusto é stato vinto, il liberatore ridotto al silenzio, chiuso per sempre in un sepolcro! La catechesi di Matteo dice che é l’esperienza che tutti facciamo di fronte al male che trionfa al punto da far considerare sogni le speranze di giustizia del povero, dell’indifeso, del debole. Dio però interviene inaspettatamente facendo rotolare la pietra che imprigiona la vita; l’angelo che siede su di essa segna la sconfitta del potere del male, costretto a fuggire davanti alla luce del Risuscitato, il vero vittorioso: è il trionfo dell’amore! Le palme che portiamo oggi, sono segno di questa vittoria. Sono anche segno del nostro impegno con la carità, la giustizia e la coerenza della nostra vita cristiana. Sono segno della nostra vigilanza perchè, il messaggio proclamato da Gesù dalla croce, giunga a tutti, soprattutto, alle vittime delle ingiustizie del nostro tempo.

“La palma significa la vittoria. Così noi portiamo palme nella mano, se cantiamo la vittoria gloriosa del Signore, sforzandoci di vincere il male con una buona condotta. Porta invano il ramo d’ulivo colui che non pratica le opere di misericordia; ed è senza alcun profitto per chi porta la palma e si lascia vincere dalle astuzie del diavolo. Rientriamo in noi stessi ed esaminiamoci se facciamo spiritualmente ciò che compiamo corporalmente” (Anonimo del IX sec. – Omelia 10).  

Buona e santa settimana santa!