Is 25,6-10a; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14.
Un grande annuncio di gioia e di speranza ci è presentato dalle letture di questa domenica. La conclusione la troviamo nella parabola del banchetto nuziale raccontata da Gesù ai capi dei sacerdoti e del popolo. Nella Bibbia la salvezza spesso è rappresentata con l’immagine di un banchetto nuziale al quale sono convocate tutte le genti. E di un prelibato e generoso banquetto parla la 1ª lettura. Agli orecchi e agli occhi degli ebrei, abituati a mangiare appena una volta al giorno, doveva apparire davvero come un momento di grazia. Sarà un banquetto di festa dove Dio, che è lo sposo, asciugherà ogni lacrima e eliminerà la morte per sempre (v. 8) e tutti proclameranno: “Ecco il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci e esultiamo per la salvezza” (v. 9). Nel vangelo di oggi Gesù riprende l’immagine del banchetto, ma lo sposo è Lui, e la sposa è la Chiesa e l’umanità intera che, nonostante tutto, è amata perdutamente da Dio. E ce lo dice lo stesso Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3, 16-17).
Gesù è arrivato a Gerusalemme, come abbiamo visto due domeniche fa; qui incontra l’ostilità aperta dei capi; questa è la terza parabola che racconta loro con l’intuito di farli prendere coscienza della gravità del loro rifiuto. Nella parabola la realizzazione del banchetto nuziale è problematica; c’è un primo momento nel quale gli invitati non rispondono all’invito del re. Il re mandò altri servi con l’incarico di dire agli invitati che il banchetto per le nozze di suo figlio è pronto! (v. 4). Ma tutti ignorano; vivono la loro vita ordinaria: chi va al campo, chi si preoccupa dei propri affari e alcuni, addirittura, infastiditi dell’insistenza, maltrattarono gli inviati e, perfino, li uccidono! (v. 7). Ma davanti a questo quadro sconcertante, il re non si rassegna, perché sta in gioco la gioia del figlio. Ed è qui la sorpresa: ordina ai suoi servi di andare per i crocicchi delle strade e invitare tutti quelli che incontrano. La sala del banchetto si riempie di commensali … di tutti i tipi … cattivi e buoni! (v.10).
Cerchiamo di identificare i personaggi di questa terza parabola che Gesù rivolge ai capi del popolo ebreo. Il re che organizza il banchetto è Dio Padre; lo sposo è Gesù; i servi inviati del primo e secondo gruppo sono i profeti dell’Antico Testamento fino a Giovanni il Battista: ignorati, maltrattati e uccisi. Quelli del terzo gruppo di inviati sono gli Apostoli, i missionari e noi quando annunciamo il Vangelo.
I primi invitati al banchetto che lo hanno snobbato sono i capi del popolo, coloro che sono sazi, non hanno fame e sete di un mondo nuovo, sono contenti dei loro privilegi e della loro vita meschina. Gli ultimi invitati, raccolti nelle piazze e lungo le strade sono gli uomini di tutto il mondo (i pagani che dagli ebrei erano esclusi dalla salvezza perché impuri) … cattivi e buoni (da notare: prima i cattivi! (v. 10). Il vangelo di Luca parla di “poveri, storpi, ciechi e zoppi” (Lc 14,21). E questi crocicchi e queste strade che la Chiesa è chiamata a percorrere!
E non dobbiamo meravigliarci né scandalizzarci se nella Chiesa ci sono anche quelli che non vivono d’accordo con la loro vocazione; lo stesso san Matteo nel suo vangelo parla di grano e zizzania (13,24-30), di pesci buoni e cattivi (13,47-50) che stanno insieme. Finalmente, la sala è piena di invitati e comincia la festa. Se la parabola finisse qui sarebbe un lieto fine, ma essa continua con un’altra sorpresa.
Il re entra nella sala del banchetto per salutare gli invitati, e vede uno senza l’abito conveniente ad un banchetto nuziale: “Amico, come mai sei qui senza l’abito nuziale?” (v. 12). Ma, lui, come gli altri invitati, è stato raccolto dalla strada, come poteva avere l’abito adeguato al banchetto? Ha risposto all’invito, e non si dice che sia una cattiva persona, ma si è presentato al banchetto di forma inadeguata. È un simbolo. La catechesi della parabola vuole dire che, nonostante la chiamata alla salvezza sia per tutti, dobbiamo essere sempre preparati. Non basta far parte dei chiamati, essere battezzati, per pensare come scontata la salvezza. La vita nuova del cristiano comincia con un abito nuovo, indossato nel giorno del battesimo; non possiamo presentarci al Signore con gli stracci della vita antica. San Matteo vuole ricordare alle sue Comunità, e ai cristiani di ogni luogo e di ogni tempo, la serietà con cui vanno assunti e portati avanti gli impegni del battesimo. Se noi leggiamo, o meglio, proclamiamo la Parola di Dio nella celebrazione è per attualizzarla, per cui, l’“Amico, come mai sei qui senza l’abito nuziale?” è rivolto a ciascuno di noi che ci troviamo adesso nella sala del banchetto eucaristico; ci costringe a rientrare in noi stessi e chiederci se non siamo anche noi senza la veste adeguata, vediamo:
– se non siamo qui come per caso, per abitudine, senza prendere parte effettiva e affettiva a ciò che si sta svolgendo;
– se non siamo anche noi con il cuore assente e la mente persa dietro le nostre preoccupazione e distrazioni;
– se siamo rivestiti di opere di bene cioè, se siamo quelli “che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,28).
– Se siamo seminatori di speranza, perché il Vangelo è una buona notizia.
Se ancora non lo siamo, la Parola di Dio ci esorta a diventarlo. Infatti nel Salmo responsoriale abbiamo proclamato: “Il Signore è mio pastore, non manco di nulla” (v. 1). Non manchiamo di nulla, i mezzi sono a nostra disposizione; allora indossiamo la veste nuziale e facciamo veramente festa perché il Signore è con noi e ci alimenta con la sua Parola, con il Pane dell’Eucaristia e con la sua grazia.
Il banchetto al quale siamo invitati comincia qui, sulla terra, anticipato dall’Eucaristia, ed è qui che dobbiamo indossare sempre l’abito adeguato. “Rivestitevi di Cristo”, raccomandava san Paolo (Rm 13,14), cioè “abbiate gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5), il suo stile di vita aperto alla grazia di Dio e sempre pronti ad accogliere il fratello, perché, come dice san Gregorio Magno (Omelia 38), per veste nuziale dobbiamo intendere la carità, l’amore fraterno per il quale il mondo ci riconoscerà come discepoli di Gesù (Gv 13,35). Buona domenica!