Mal 1,14b-2.2b.8-10; 1Ts 2,7b-9.13; Mt 23, 1-12

Il vangelo di oggi si apre con la pesante accusa agli scribi e farisei che si sono seduti sulla cattedra di Mosè ma a differenza di Mosè, che era potente nelle parole e nelle opere (cf At 7,22), loro non fanno ciò che insegnano e lo pretendono dagli altri. In questo rimprovero di Gesù riecheggia il richiamo di Dio ai sacerdoti dell’Antico Testamento, come abbiamo ascoltato nella 1ª lettura: Voi avete deviato dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento” (v. 8). I loro insegnamenti non conducono a Dio. Sta qui il pericolo dell’ipocrisia. E l’insistenza di Gesù: “Non fate come loro”, ci avverte che dire e non fare tradisce un comportamento ipocrita. Ci invita a non dipendere dalla vanità dell’apparenza e del riconoscimento, perché “Chiunque si innalzerà, sarà abbassato, e chiunque si abbasserà sarà innalzato”.

Se nei vangeli è dedicato tutto questo spazio a scribi e farisei, e gli evangelisti lo hanno riportato, è perché sotto si nasconde una tentazione perenne per tutti, anche per la Chiesa, per ciascuno di noi: di separare l’insegnamento dalla vita. Allora diventiamo mercanti di parole. La parola umana è efficace e convince quando produce fatti, cioè quando è coerente.

Gesù rimprovera i farisei perché si preoccupano con le apparenze. Per mostrare il loro attaccamento alla Parola di Dio mettono delle frasi della Bibbia in scatolette che inseriscono nelle frange dei loro vestiti, ma poi non la vivono. Nei banchetti e nella sinagoga si compiacciono dei posti d’onore, e per le strade esigono di essere salutati e chiamati maestri.

Anche nella Chiesa, come nella società di tutti i tempi, i titoli e i privilegi sono stati sempre una tentazione. Perciò l’ammonimento di Cristo è pesante, guardatevi da questo pericolo! Il Signore ci ricorda che abbiamo bisogno di ministri santi, e di trovare il modo giusto di rapportarci con loro; considerarli come nostri fratelli nella fede, riconoscere il loro stupendo lavoro, ma guardandoci bene dal metterteli su un piedistallo che li farà cadere quando cedono alla vanità. È innato in noi il desiderio di riconoscimento per ogni cosa che facciamo. Ma la logica dei rapporti che deve regolare la comunità cristiana è quella della fraterinità e dell’umiltà.

La condizione dettata da Gesù: “se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3) è l’atteggiamento esattamente opposto a quello dell’autoesaltazione degli scribi e dei farisei di tutti tempi. Abbiamo tutti bisogno di conversione e della testimonianza reciproca di santità.

Perché c’è un pericolo anche per noi: quando Gesù attacca gli scribi e i farisei, noi cosa facciamo? Li attacchiamo anche noi. Cioè i farisei sono gli altri. Normalmente facciamo così. Però crescendo in età e accorgendoci miseramente dei nostri peccati, sentiamo di non essere poi migliore dei nostri padri, come diceva anche il profeta Elia.

Gesù dice: “Dicono e non fanno“. E noi facciamo quello che diciamo? Siamo quei testimoni limpidi di valori che insegniamo poi ai nostri figli? Quando Gesù dice che leghiamo fardelli pesanti non siamo noi i primi a farlo? Pensate a quando un genitore dice al figlio di andare a Messa e lui per primo non ci va. Ma di fardelli ne buttiamo tanti sulle spalle degli altri, consci o inconsci. Pensate quando un marito fa il muso alla moglie o contrario: quale fardello gli butta addosso e in quel momento non lo vuol muovere neppure con un dito. Quindi oggi proviamo a sentirci noi quei farisei ipocriti. Faremo un bel bagno di umiltà.

La via è una sola: la Parola di Dio operante in noi, Cristo in noi, e avere anche il pensiero di Cristo. E chi ha il pensiero di Cristo avrà anche il sentimento di Cristo: e tutto riparte di nuovo.

La 2ª lettura ci offre l’esempio luminoso di san Paolo e dei suoi compagni nell’apostolato: “Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (v. 8). Sotto la forza evocatrice della figura materna Paolo ricorda che essi erano pronti a dare persino la propria vita per i Tessalonicesi (v. 8).

San Paolo lavorava giorno e notte per non essere di peso alla Comunità cristiana. Questo atteggiamento di distacco non è stato vano perché, come lo stesso san Paolo riconosce, i tessalonicesi hanno accolto il loro messaggio come se Dio stesso parlasse per mezzo loro (v. 13).  E come risultato, quella parola operava efficacemente in loro. La predicazione cristiana non è soltanto una parola su Dio, ma una parola detta da lui. Ecco perché questa predicazione ha avuto successo e ha fatto nascere la fede nei Tessalonicesi.

Le letture di oggi sono un invito alla trasparenza; il cristiano non può usare maschere. Il suo stile di vita, seguendo le orme di Gesù, parlerà da se. Siamo in un’epoca estremamente rumorosa dove non è facile cogliere il messaggio di Gesù che parla attraverso della nostra debole parola. Ma quando la nostra parola è accompagnata dalle opere diventa attrattiva, e la fede si trasmette per attrazione. E allora possiamo contare con la grazia di Dio che porterà a termine la sua opera.

Le critiche severe che Gesù rivolge ai farisei lasciano importanti consegne ai cristiani di tutti i tempi, quindi anche da noi. La nostra coerenza è l’unico argomento convincente agli occhi di chi ci guarda. La nostra testimonianza è l’unico modo che abbiamo per rendere visibile ciò che crediamo. Quando Gesù dice di non chiamare nessuno padre e maestro non vuole svuotare di autorevolezza e credibilità i padri e i maestri. Vuole solo ricordarci che la credibilità di un padre o di un educatore sta ne non dimenticare mai che prima di essere padre o maestro anch’egli è un figlio e un discepolo.

Ogni ruolo e compito nella Chiesa, ma anche in famiglia e nella società, vanno letti a partire dallo sconvolgimento portato da Gesù il quale «ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno può toglierglielo», come diceva il beato Carlo De Foucauld, ed è lì che chiede di raggiungerlo. È il posto per vedere bene se stessi e gli altri, senza maschere. Buona domenica!