I Trinitari

L’ORDINE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ E DEGLI SCHIAVI

LA FONDAZIONE DELL’ORDINE: L’ordine venne fondato nel 1193[1] dal francese Giovanni de Matha (1154-1213), con una propria Regola, e approvato da papa Innocenzo III nel 1198 con la bolla Operante divine dispositionis. Cofondatore dell’ordine è considerato Felice di Valois, compagno di Giovanni di Matha nella zona di Cerfroid, presso Meaux: a Cerfroid, infatti, si stabilì la prima comunità trinitaria che è considerata la “casa madre” dell’Ordine.

Giovanni di Matha intendeva fondare un nuovo e originale progetto di vita religiosa, con aspetti profondamente evangelici, nella Chiesa, unendo il culto alla Trinità all’opera di liberazione dalla schiavitù, in particolare il riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei mori. Infatti, il nome dell’ordine per intero è Ordine della Santissima Trinità e redenzione degli schiavi. L’ordine si prodigava per la “redenzione” dei sequestrati poiché sapeva che ad essi veniva proposto di tornare liberi se rinnegavano la propria fede. A Roma nel 1209, sotto la protezione di papa Innocenzo III, Giovanni si stabilì con i suoi frati nella zona del Celio, fondando un convento ed un ospedale nei pressi della chiesa di San Tommaso in Formis, che era stata loro affidata dal Papa.

LA RIFORMA DELL’ORDINE: La riforma dell’Ordine fu attuata da san Giovanni Battista della Concezione (15611613) e prese il nome di “trinitari scalzi”. La prima comunità di trinitari scalzi si stabilì a Valdepeñas (Ciudad Real). Con il breve Ad militantes Ecclesiae (1599), papa Clemente VIII approvò la Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità, istituita per osservare la Regola di San Giovanni di Matha in tutto il suo rigore. Giovanni Battista della Concezione fondò ben 18 conventi di religiosi e uno di religiose di clausura e trasmise ai suoi seguaci un forte spirito di preghiera, umiltà e penitenza, dando molta importanza all’impegno a favore dei prigionieri e dei poveri. 

L’ORDINE OGGI: Dopo il Concilio Vaticano II, l’Ordine Trinitario ha iniziato un forte processo di rinnovamento. Le nuove Costituzioni, approvate nel 1983 e confermate dal Vaticano nel 1984, hanno raccolto il carisma originario, aggiornandolo al mutare dei tempi e definendo gli elementi essenziali dell’identità trinitaria:

la Santissima Trinità quale fonte inesauribile della carità che si traduce nel servizio della redenzione e misericordia;

la vocazione trinitaria come la chiamata ad essere testimoni di Cristo, mostrando che il Dio di Gesù è amore, libertà, comunione, Trinità;

il servizio di liberazione realizzato in vari modi: ascoltando le nuove forme di schiavitù (prostituzionealcolismotossicodipendenza, ecc.); assistendo i cristiani dubbiosi; svolgendo il compito di evangelizzazione, sia in paesi di missione come nei paesi di tradizione cristiana; partecipando alla liberazione degli indigenti dalla condizione di povertà.

SIT: SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE TRINITARIA è un organismo di solidarietà e senza fini di lucro, appartenente all’Ordine della Santissima Trinità, costituito nel 1999 con sede centrale a Roma e altre sedi in diversi Paesi del mondo.

Gli scopi che si prefigge sono:

la liberazione dei perseguitati e degli schiavi;

l’eliminazione delle nuove forme di schiavitù, di oppressione, di violenza;

e la promozione della solidarietà e della comunione.

Il Fondatore e Cofondatore

 SAN GIOVANNI DE MATHA (Francia, Faucon-de-Barcelonnette23 giugno 1154; † Roma17 dicembre 1213) di nobile nascita, studiò teologia a Parigi e nel 1192 venne ordinato sacerdote. Durante la sua prima Messa, al momento della consacrazione, ebbe in visione il Cristo Redentore che teneva tra le sue mani due schiavi – l’uno bianco, l’altro di colore – ai quali offriva la libertà redentrice. Ciò accadeva nell’anno 1193. L’evento è stato fissato in un artistico mosaico intorno all’anno 1210, tutt’ora visibile sul portale della casa di san Tommaso in Formis, donata da papa Innocenzo III allo stesso Fondatore.

Da questa divina ispirazione scaturì in lui il desiderio di occuparsi degli schiavi. Per riflettere sulla rivelazione e maturare il suo progetto, Giovanni si ritirò nella solitudine di Cerfroid, dove incontrò Felice de Valois e altri eremiti. Con il loro aiuto e quello dei Vescovi di Meaux e di Parigi e dell’Abate di san Vittore, elaborò e sperimentò la Regola Trinitaria, che nel 1198 sottomise all’approvazione del papa.  La solennità liturgica si celebra il 17 dicembre.

SAN FELICE DI VALOIS, al secolo Ugo (Franciaaprile 1127; † Cerfroid Brumetz, 4 novembre 1212) è stato un religiosoeremita e fondatore dell’Ordine della Santissima Trinità e degli Svchiavi con san Giovanni de Matha; è stato proclamato santo da papa Innocenzo XI. Si dedicò alla vita eremitica dapprima sulle Alpi, poi a Cerfroi, nella diocesi di Meaux, dove accolse anche Giovanni de Matha di cui appoggiò il progetto di fondare un ordine destinato al riscatto dei prigionieri cristiani in mano ai mori. Nel 1198 ottennero l’autorizzazione di papa Innocenzo III. Fu canonizzato da papa Innocenzo XI.  La memoria liturgica si celebra il 4 novembre.

Le sante patrone

La MADONNA DEL BUON RIMEDIO – compatrona dell’Ordine dei padri Trinitari – per antichissima tradizione fu da sempre chiamata a vegliare sulle loro “redenzioni”, cioè sulle loro missioni di riscatto dei prigionieri cristiani. E molto spesso, se il denaro non bastava, erano gli stessi padri Trinitari a pagare con la loro vita la quota mancante. 

L’iconografia classica ritrae San Giovanni De Matha in ginocchio dinanzi a alla Madonna col Bambino nell’atto di porgergli una borsa di denaro per il riscatto dei “captivi”, cioè dei prigionieri cristiani in mano ai Mori. Sullo sfondo si intravede un veliero simbolo dei molti viaggi compiuti dai padri Trinitari nell’intento di riscattare i prigionieri.

L’Ordine dei Trinitari festeggia la Madonna del Buon Rimedio l’8 ottobre.

Nella nostra Basilica di San Crisogono, in fondo, all’ingresso dalla porta a destra, c’è una preziosa edicola dedicata alla Madonna del Buon Rimedio (quadro sopra); i numerosi oggetti di ringraziamento per grazie ricevute e la continua offerta di fiori mostrano la grande devozione verso di Lei.

Un avvanimento importante della storia europea, la vittoria dei cristiani sui mussulmani nella Battaglia di Lepanto, è legato all’intercessione della Madonna del Buon Rimedio. Il 7 ottobre 1571, quando stava per iniziare la fatidica battaglia nel golfo di Lepanto, il condottiero della flotta cristiana, don Giovanni d’Austria, fratello di re Filippo II di Spagna, issò il vessillo con l’immagina della Madonna del Buon Rimedio. 

SANTA AGNESE (Roma, 290-293 – Roma, 21 gennaio 305) è compatrona dll’Ordine Trintario perchè nell’ottavario della sua festa, giorno 28 gennaio, durante la celebrazione della sua prima messa, san Giovanni de Matha ebbe l’intuizione dell’Ordine con la visione del Redentore in mezzo a due schiavi.

Secondo la tradizione latina, era una nobile appartenente alla gens Clodia; la gens Claudia fu un’importante famiglia romana che diede imperatori come Tiberio, Claudio, Caligola…). Dopo la sua morte il suo corpo fu sepolto nella catacomba oggi nota come Catacomba di Sant’Agnese.

I santi dell'Ordine

SAN GIOVANNI BATTISTA DELLA CONCEZIONE – RIFORMATORE DELL’ORDINE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ. Ospitare un santo, a volte cambia la vita. È successo nella famiglia spagnola di Marco Garcia, che un giorno del 1576 ha la ventura di ospitare in casa sua Santa Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo. In questa occasione la santa predice a che Giovanni, il figlio quindicenne, avrà un futuro di santità e di grande attivismo per la riforma di una famiglia religiosa. Sono parole che lasciano il segno, ma non sconvolgono due genitori profondamente cristiani, dalla devozione viva e dalla carità operosa, che saranno lieti di donare non uno solo ma ben tre dei loro otto figli al Signore. Giovanni è intelligente, studioso, portato per la vita religiosa e i genitori non sono per niente contrari che entri nei Carmelitani. Così studia dai Carmelitani, frequenta i Carmelitani, ma si sente come impedito dall’indossarne l’abito, come se una forza interiore lo trattenesse. Entra invece a 19 anni in un convento dei Trinitari, fondati da San Giovanni di Matha e la sua vasta cultura, le due doti oratorie e la sua coerenza di vita lo rendono da subito un predicatore ricercato, ascoltato, più che convincente, al punto che, dicono i testimoni, basta una delle sue prediche infuocate per creare davanti ai confessionali lunghe file di persone da lui invogliate alla conversione. E questo a Padre Giovanni piace, forse lo inorgoglisce anche un po’, e si convince di essere un predicatore nato e che proprio questo sia ciò che il Signore vuole da lui. La sua vita scorre tranquilla, tra consensi, applausi e successi e non sente il bisogno di guardare a quella frangia di “recolletti”, cioè a quello sparuto numero di confratelli che, almeno a parole, si richiamano e vogliono vivere secondo la più rigida Regola dettata dal fondatore, anche perché lui ha un alibi di ferro: è un po’ malaticcio, ed è convinto che questo lo dispensi dall’essere più esigente con se stesso. Il Signore, però, comincia a lavorare in lui, staccandolo un po’ per volta da quella vita troppo comoda. La sua “via di Damasco” diventa il tremendo temporale in cui si trova un giorno, mentre va a predicare. Che assume ben presto le proporzioni di un uragano e lui vede la morte in faccia, ed ha paura, e fa voto di adottare uno stile di vita più rigoroso e penitente se riuscirà a salvarsi. Passato il pericolo, cerca subito di sciogliere il voto, e il Superiore lo lascia andare, anche se a malincuore. Nel 1596 entra nel convento dei recolletti di Valdepreñas e da quel preciso istante inizia una radicale inversione di marcia, un’autentica conversione che lo porta a staccarsi di colpo da amicizie influenti, onori e privilegi; rinuncia al “Dio molto zuccherato e molto sensibile” in cui aveva creduto fino ad allora, per abbracciare il Dio nudo nello strazio della croce. Si accorge subito che anche tra i “recolletti” non c’è autenticità: poveri e austeri di nome ma non di fatto, si limitano ad un’osservanza formale, senza arrivare alla radicalità che il vangelo e la Regola richiedono. Dopo neanche due mesi è nominato ministro del convento, segno che il suo nuovo stile di vita ha già contagiato qualcuno, e allora si accorge che il Signore non si accontenta della sua riforma personale, ma gli sta chiedendo molto di più. Inizia così a reintrodurre in convento la regola originaria, che non può limitarsi ad una stoffa un po’ più grossolana e rozza dell’abito, ma che prevede tra le altre cose, ad esempio, il non mangiare carne e pregare sei ore al giorno. Si assiste così ad un fuggi fuggi generale dei religiosi dal convento, spaventati dal suo rigorismo e dalla sua austerità, ma lui continua imperterrito, convinto che “questa religione non è mia, ma di Dio ed egli chiamerà e attirerà altri”. Le vocazioni infatti arrivano, raccolte soprattutto tra i giovani universitari, ma insieme arrivano anche incomprensioni, ostacoli e addirittura vere e proprie persecuzioni da parte dei confratelli e dei superiori, a dimostrazione che davvero “nemici dell’uomo sono quelli di casa sua”. A tutto ciò bisogna aggiungere le tentazioni, gli scrupoli, i dubbi e una lunghissima “notte dello spirito” che lo colpiscono in quel periodo e dai quali si salva unicamente aggrappandosi ad una fede salda, che gli fa credere che nonostante tutto Dio sta dalla sua parte. Ottiene dal Papa, nel 1599, l’approvazione del suo progetto di riforma e continua imperterrito a fondare conventi riformati, ma prosegue altrettanto imperterrita l’opera di emarginazione e di esclusione che l’Ordine attua nei suoi confronti. È ucciso dalla nefrite, dalle penitenze e dai dispiaceri il 14 febbraio 1613, ad appena 52 anni, ma non muore il suo progetto di riforma, che prosegue malgrado le opposizioni. Beatificato nel 1819 da Pio VII, Giovanni Battista della Concezione è stato canonizzato da Paolo VI nel 1975.

San SIMONE DE ROJAS nacque a Valladolid, in Castiglia (Spagna), il 28 ottobre 1552. Dodicenne, entrò nel convento trinitario della sua città natale dove fece la sua professione religiosa il 28 ottobre 1572; Studiò all’università di Salamanca dal 1573 al 1579; fu ordinato sacerdote nel 1577; insegnò filosofia e teologia a Toledo, dal 1581 al 1587; dal 1588 alla sua morte, espletò con grande prudenza l’ufficio di superiore in vari conventi della Sua provincia e fu inviato come Visitatore apostolico due volte nella sua provincia di Castiglia ed una in quella dell’Andalusia; il 14 aprile 1612, fondò la Congregazione degli Schiavi del Dolcissimo Nome di Maria; nel 1619 fu nominato precettore degli Infanti di Spagna; il 12 maggio 1621 venne eletto Provinciale della Castiglia; il 1° gennaio 1622 fu scelto quale confessore della Regina Isabella di Borbone; morì il 29 settembre 1624 a Madrid. 

La sua canonizzazione, nell’anno mariano, glorifica colui che, per la sua tenera devozione a Maria, Lope de Vega paragona a S. Bernardo di Chiaravalle e a S. Ildefonso di Toledo. Fu la mamma, la virtuosa Costanza, che istillò e fece germogliare nell’anima di Simone l’amore a Maria. Il culto che le tributava continuamente insieme al marito Gregorio, fa ben capire perché Simone, quando pronunciò le sue prime parole all’età di 14 mesi, essendo da piccolo un po’ ritardato e balbuziente, disse: “Ave, Maria”: non faceva che ripetere la preghiera frequentemente recitata dai suoi genitori. La sua più grande gioia era quella di visitare i santuari mariani, di pregare Maria e con Maria, di imitarne le virtù, di cantarne le lodi, di mostrarne l’importanza nel mistero di Dio e della Chiesa.

Attraverso profondi studi teologici, egli comprese sempre meglio la missione di Maria e la sua cooperazione con la Trinità alla salvezza del genere umano e la santificazione della Chiesa. Vivrà i suoi voti religiosi sull’esempio di Maria. Riteneva che, per essere tutti di Dio come Maria, bisognava farsi suoi schiavi, o meglio, schiavi di Dio in Maria; per questo, istituì la Congregazione degli Schiavi di Maria, alla più grande gloria della Trinità, a lode della Madonna, al servizio dei poveri. Per lui, essere schiavo di Maria indicava appartenenza totale a Lei: ” Totus tuus “, per unirsi più intimamente al Cristo e, in Lui, per lo Spirito, al Padre.
La Congregazione da lui fondata aveva carattere laicale: vi potevano aderire persone d’ogni ceto sociale. Gli ascritti, tra i quali figuravano anche il re e i suoi figli, si impegnavano ad onorare Maria, assistendo maternamente i suoi figli prediletti: i poveri. La sua opera sussiste ancora in Ispagna. Colui che è ritenuto uno dei più grandi contemplativi del suo tempo, nella sua opera: ” La preghiera e le sue grandezze ” dimostra che alla dimensione contemplativa va unita quella attiva: le opere di misericordia. Fedele al carisma trinitario, promosse redenzioni degli schiavi, sovvenne a molteplici necessità dei bisognosi, consolò malati, diseredati ed emarginati di ogni genere. Quando ebbe mansioni a Corte, pose come condizione di poter continuare a dedicarsi ai ” suoi ” poveri, che aiutava in mille modi, a qualunque ora del giorno e della notte.

Molteplici sono le manifestazioni del suo amore a Maria. I pittori, che ce ne hanno tramandato l’effigie, pongono sulle sue labbra il saluto ” Ave, Maria “, che egli pronunciava così frequentemente da esser chiamato: ” Il Padre Ave Maria “. Fece stampare migliaia di immagini della Vergine Santissima con la scritta: ” Ave, Maria “, inviandole anche all’estero. Fece confezionare corone del rosario con 72 grani azzurri su cordone bianco, simboli dell’Assunta e dell’Immacolata, a ricordo dei 72 anni della vita di Maria, secondo la credenza di allora, e li diffuse dovunque, anche in Inghilterra. Avvalendosi del suo influsso a Corte, fece incidere a caratteri d’oro sulla facciata del palazzo reale di Madrid il saluto angelico a lui tanto caro: ” Ave, Maria “. Il 5 giugno 1622 impetrò dalla Santa Sede l’approvazione del testo liturgico da lui composto in onore del Dolcissimo Nome di Maria che, più tardi, il Papa Innocenzo XI estese alla Chiesa universale.

Alla sua morte avvenuta il 29 settembre 1624, le onoranze funebri a lui tributate assunsero l’aspetto di una canonizzazione anticipata. Per 12 giorni, i più valenti oratori di Madrid ne esaltarono le virtù e la santità. Impressionato dalla venerazione unanime nei suoi riguardi, il Nunzio del Papa, qualche giorno dopo la sua morte, l’8 ottobre seguente, ordinò che si iniziassero i processi, in vista della sua glorificazione da parte della Chiesa. Clemente XII, il 25 marzo 1735 riconobbe l’eroicità delle sue virtù e Clemente XIII lo beatificò il 19 maggio 1766.

Il 3 luglio, prima che si concludesse l’Anno Mariano, il Papa Giovanni Paolo II iscrisse nel catalogo dei santi questo grande servo di Maria e padre dei poveri-

SAN MICHELE DE SANTI nacque a Vich (Catalogna), non lontano da Barcellona, il 29 settembre 1591, da Enrico Argemír e Margherita Monserrada. Rimasto orfano di padre all’età di undici anni, sentendosi chiamato alla vita religiosa, dovette superare molte opposizioni familiari prima di poter realizzare le sue aspirazioni e solo nell’agosto 1603 fu accolto nel convento dei Trinitari di Barcellona, dove ebbe a maestro il venerabile Paolo Aznar. Il 30 settembre 1607 emise la professione religiosa. Poco tempo dopo, conobbe la riforma compiuta nell’Ordine della S.ma Trinità dal b. Giovanni Battista della Concezione ed approvata dal papa Clemente VIII nell’anno 1599 e ottenne di potervisi trasferire; ripetuto l’anno di noviziato, fece la nuova professione tra i Trinitari Scalzi.

Subito si manifestarono nel giovane religioso fenomeni mistici. In Chiesa, nel coro e perfino nel refettorio, Michele era preso all’improvviso dallo Spirito del Signore e rapito in estasi. Una sola parola, un semplice sguardo al Crocifisso bastavano a farlo entrare in rapimento. I superiori lo inviarono a Siviglia per farlo esaminare da sacerdoti, esperti conoscitori di anime e il loro giudizio fu quanto mai favorevole. I superiori, credettero giustamente, che un religioso così pieno d’amore di Dio avrebbe potuto fare un ottimo apostolato, dentro e fuori del convento. Fu prima eletto vicario del convento di Baeza e poi superiore di Valladolid, dove allora si trovava la corte del re di Spagna. A Baeza Michele operò molte conversioni. La sua santa vita e le estasi davano alle parole che egli rivolgeva agli studenti dell’università, ai caballeros e ai pubblici peccatori nel confessionale e dal pulpito, il valore di messaggi di Dio. Alla corte di Valladolid fu molto stimato e favorito dal re Filippo III, il quale, con tutta la sua famiglia, lo consultava sui problemi spirituali.

Morì il 10 aprile 1625, all’età di trentatré anni. L’8 giugno 1862, nella festa di Pentecoste, fu canonizzato da Pio IX insieme con i martiri giapponesi. Michele che aveva compiuto gli studi nelle celebri università di Baeza e Salamanca, sotto la direzione dei più grandi teologi, scrisse anche un trattato intitolato La tranquillità dell’anima, ed un cantico spirituale in versi sulla via unitiva, giudicati assai positivamente dai maestri di spiritualità e dai letterati; la sua festa è stata fissata al 5 luglio. Nell’ultima ed. del Martirologio Romano però, egli è iscritto nel suo dies natalis, 10 aprile.

Beati dell'Ordine

BEATO MARCO CRIADO, acque ad Andújar, in Spagna, il 25 aprile 1522. D’ingegno precoce si distinse, ancora bambino, fra i suoi condiscepoli, specialmente nell’imparare la dottrina cristiana. Nel 1536 abbracciò l’Ordine Trinitario nella città natale, dove compì anche gli studi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote, esercitò il sacro ministero della parola ad Andújar, a Jaén e a Ubeda. L’ubbidienza lo destinò, poi, missionario della diocesi di Guadix e della regione limitrofa, roccaforte dei musulmani.

Il suo zelo per la gloria di Dio e per la salute delle anime fu instancabile. Dopo una breve sosta a La Peza in qualità di cappellano, percorse a piedi, solo e fra mille pericoli, i paesi e villaggi delle aspre alture dell’Alpujarras, ovunque confortando i deboli nella fede, correggendo i costumi, infervorando i buoni, smascherando e confondendo i perversi. A La Peza fu schiaffeggiato, vilipeso e percosso; sulla Sierra de los Filabres fu, per due giorni, legato ad un albero; a Cadiar si sottrasse al furore dei suoi nemici facendosi calare in una sporta dalla finestra del suo ospite. Abhencota, uno dei più feroci capi mori, lo fece legare alla coda di un cavallo e trascinare per dieci leghe.

Scoppiata la rivolta dei mori dell’Alpujarras, il Criado fu la prima vittima. Condotto, tra percosse ed insulti, poco lontano da La Peza, fu legato a una quercia, dove rimase tre giorni, cantando inni e pregando Iddio per i suoi assassini. Morì, infine, lapidato il 25 settembre 1569. La Peza venera in lui il suo patrono, l’Alpujarras il suo apostolo, l’Ordine Trinitario uno dei suoi più autentici figli. Il suo culto ab immemorabili fu solennemente confermato da Leone XIII il 24 luglio 1899. La sua festa si celebra il 25 settembre.

 

BEATO DOMENICO ITURRATE ZUBERO nacque l’11 maggio 1901 nella borgata Biteriño di Dima (Vizcaya) vicino Bilbao in Spagna. I genitori Simone Iturrate e Maria Zubero erano ferventi cristiani e diedero a Domenico una salda educazione religiosa e morale. Fece la Prima Comunione sui 10 anni, ma già da tre anni aveva l’abitudine di confessarsi ogni mese, secondo l’usanza del tempo, senza aspettare la Prima Comunione. Crebbe ubbidiente ai genitori, frequentando la scuola del paese e aiutando nei lavori domestici e nei campi; interessato particolarmente al catechismo, ebbe dal parroco l’incarico d’insegnarlo ai più piccoli. I suoi biografi sottolineano che aveva un carattere sensibile, ma con inclinazione all’ira, come i baschi della sua Regione. Divenne chierichetto nella sua parrocchia, partecipava alla Messa non solo nei festivi, ma anche durante i giorni feriali. Avvertita dentro di sé la chiamata alla vita religiosa, trovò la madre consenziente, mentre il padre che aveva riposto su di lui le sue speranze, perché per tradizione, essendo il primogenito, era il suo appoggio ed erede della proprietà familiare. Ma essendo Domenico fermo nella sua scelta, alla fine anche il padre acconsentì e dopo aver ricevuto la cresima il 26 agosto 1913; entrò nel Collegio-aspirantato dei Padri Trinitari di Algorta (Vizcaya), Cantabria, il 30 settembre 1914, per intraprendere gli appositi studi.

Il novizio Domenico del SS. Sacramento, questo il nome che aveva assunto, si impegnò con tutte le forze nella sua formazione spirituale; e da una sua confidenza, si seppe che nell’anno di noviziato e negli anni precedenti, aveva sofferto la cosiddetta “notte oscura dello spirito”, che l’aveva sprofondato nel dubbio sulla sua vocazione, portandogli aridità di spirito, mancanza di soddisfazione delle sue azioni, paure, amarezze ed angosce.
Ma con l’aiuto della Madonna alla quale si era affidato, quando il 14 dicembre 1918 fece la professione semplice, ritrovò la sua tranquillità interiore e la serenità dello spirito.
Dopo aver compiuto il primo anno di filosofia, nell’ottobre 1919 fu inviato a Roma, dove continuò gli studi filosofici alla Pontificia Università Gregoriana; conseguì la laurea in filosofia il 3 luglio 1922.

Il successivo 23 ottobre fece i suoi voti perpetui, nel convento romano di S. Carlo alle Quattro Fontane, dove era alloggiato. Continuò gli studi in teologia, laureandosi anche in questa scienza il 26 luglio 1926. Nel frattempo era stato ordinato sacerdote nella Basilica dei Dodici Apostoli il 9 agosto 1925, celebrando la Prima Messa il 15 dello stesso mese. Nel Seminario aveva il compito di “assistente” del padre Maestro, per l’osservanza della disciplina.

Desideroso di essere un missionario in terre pagane, espose al Padre Provinciale l’idea di aprire una missione dell’Ordine in Africa o in America Latina, offrendosi personalmente per tale opera. Ma i suoi superiori valutando le sue ottime qualità di formatore, nel Capitolo Generale del 1926, lo nominarono Maestro degli studenti trinitari. Ai primi di giugno, però padre Domenico avvertì i primi sintomi della tubercolosi polmonare, così diffusa in quei tempi; fu mandato nella vicina Rocca di Papa, con la speranza che l’aria pura dei monti gli potesse giovare, ma il male purtroppo era già in uno stato troppo avanzato.
Dopo sette anni di permanenza a Roma, fu trasferito con urgenza ad Algorta in Spagna, dove arrivò il 6 settembre 1926, dopo essersi fermato prima a Lourdes per pregare la Madonna.

Dopo aver consultati vari medici, fu portato al convento di Belmonte (Cuenca); ormai aveva compreso che tutti i suoi progetti sacerdotali e di missionario, non si sarebbero più realizzati, ma accettò la volontà di Dio senza ribellione.

Morì l’8 aprile del 1927 nello stesso convento di Belmonte; il giovane sacerdote trinitario godé subito della fama di santità, basti pensare che per la Causa di beatificazione, furono presentati circa 2500 relazioni per guarigioni attribuite alla sua intercessione.
Nel 1974 i suoi resti furono traslati ad Algorta, dove riposano nella parrocchia del Redentore dei religiosi Trinitari. Padre Domenico del SS. Sacramento Iturrate, è stato beatificato il 30 ottobre 1983 da papa Giovanni Paolo II.

Padre Mariano de San José (Altolaguirre) e 9 compagni trinitari caddero vittime in odio alla loro fede cristiana durante la feroce persecuzione religiosa che contraddistinse la Guerra Civile Spagnola negli anni ’30 del XX secolo. In questa sanguinosa strage che attraversò la Spagna, il numero delle vittime superò il milione, colpendo persone di ogni età e classe sociale: vescovi, sacerdoti, religiosi e laici di ambo i sessi. È stato ormai appurato da parte degli storici che, all’interno di questo terribile massacro, gli anarchici ed i social-comunisti perpetrarono una vera e propria persecuzione volta ad annientare la Chiesa Cattolica in Spagna.

– José de Jesús María (José Vicente Hormaechea y Apoitia)
– Prudencio de la Cruz (Prudencio Gueréquiz y Guezuraga)
– Segundo de Santa Teresa (Segundo García y Cabezas)
– Juan de Jesús María (Juan Otazua y Madariaga)
– Luis de San Miguel de los Santos (Luis de Erdoiza y Zamalloa)
– Melchor del Espíritu Santo (Melchor Rodríguez Villastrigo)
– Santiago de Jesús (Santiago Arriaga y Arrien)
– Juan de la Virgen del Castellar (Juan Francisco Joya y Corralero)
– Francisca de la Encarnación (María Francisca Espejo y Martos).

TERZIARI TRINITARI

La BEATA ANNA MARIA GIANNETTI TAIGI nacque a Siena il 29 maggio 1769 e fu battezzata il giorno seguente. In seguito a dissesti finanziari i suoi genitori, Luigi Giannetti e Maria Masi, si trasferirono a Roma, quando lei aveva sei anni. A Roma venne affidata alle suore Maestre Pie Filippine, dove in due anni ricevette una completa formazione. Per aiutare i genitori bisognosi, si dedicò a lavori diversi, anche più umili. Ancor giovane si sposò con Domenico Taigi, uomo pio ma di un carattere difficile e grossolano. Anna Maria vi passò sopra, e badò principalmente alla virtù. Così per 49 anni, lei finissima nel tratto, ebbe l’opportunità di esercitare continuamente la pazienza e la carità. Il matrimonio fu improntato ai più elevati principi cristiani. Conoscendone tutto il profondo valore etico-sociale, e considerandolo semplicemente come un’altissima missione ricevuta dal cielo, la Beata trasformò la sua casa in un vero santuario, dove Iddio aveva il primo posto. Docile al marito, evitava quanto poteva irritarlo e turbare la pace domestica. Sobria e laboriosa, non fece mancare mai nulla alla famiglia e, nel limite delle sue possibilità, fu larga con i poveri. Ebbe sette figli dei quali tre morirono in tenera età: due maschi e due femmine diventarono adulti. Impartì loro un’educazione civile e religiosa accuratissima e completa.

Fin da bambina imparò a corrispondere alla grazia e cominciò a vivere una vita spirituale intensa. Aveva un solo desiderio: amare Dio e servirlo in tutto; una sola preoccupazione: evitare anche l’ombra di una qualsiasi imperfezione volontaria. Fu devotissima alla SS.ma Trinità, di Gesù Sacramento e della Passione del Signore; per la Madonna ebbe una tenerissima devozione.

Abbracciato l’Ordine Secolare Trinitario il 26 dicembre 1808, ne visse perfettamente lo spirito, e divenne serva fervida e adoratrice della SS.ma Trinità. Iddio l’arricchì di molti doni carismatici; singolare fra tutti, quello di un sole luminoso, che per 47 anni brillò davanti al suo sguardo, e nel quale vedeva quanto accadeva nel mondo e lo stato delle anime in vita e in morte. Volò al paradiso il 9 giugno 1837; fu beatificata il 30 maggio 1920. Il suo corpo si conserva a Roma, nella Basilica di S. Crisogono nella Cappella a lei dedicata.

La memoria liturgica ricorre il 9 giugno.

La beta ELISABETTA CANORI MORA asce a Roma il 21 novembre 1774 da Tommaso e Teresa Primoli. La sua è una famiglia benestante, profondamente cristiana e attenta all’educazione dei figli. Il padre era importante proprietario terriero e gestiva molte tenute agricole, un gentiluomo vecchio stampo, amministrava senza avidità disdegnando il sopruso e la sopraffazione.
I coniugi Canori hanno dodici figli, sei dei quali muoiono nei primi anni di vita. Quando nasce Elisabetta trova cinque fratelli maschi ed una sorella, Maria; dopo due anni arriva un’altra sorella, Benedetta. Nel giro di pochi anni, i cattivi raccolti, la moria di bestiame e l’insolvenza dei creditori, cambia la situazione economica e Tommaso Canori si trova costretto a ricorrere all’aiuto di un fratello che abita a Spoleto che si fa carico delle nipoti Elisabetta e Benedetta.

Lo zio decide di affidare le nipoti alle Suore Agostiniane del monastero di S. Rita da Cascia, qui Elisabetta si distingue per intelligenza, profonda vita interiore e spirito di penitenza.
Rientrata a Roma, conduce per alcuni anni vita brillante e mondana, facendosi notare per raffinatezza di tratto e bellezza. Elisabetta giudicherà questo periodo della sua vita un “tradimento”, anche se la sua coerenza morale non viene meno e la sua sensibilità religiosa è in qualche modo salvaguardata.

Un alto prelato che conosce bene i problemi economici e le qualità spirituali della famiglia Canori, propone di far entrare Elisabetta e Benedetta nel monastero delle Oblate di S. Filippo, facendosi carico di tutte le spese. Benedetta accetta e si fa suora nel 1795, Elisabetta no, non se la sente di lasciare la famiglia in difficoltà. Il 10 gennaio 1796 nella chiesa di Santa Maria in Campo Corleo, si celebra il matrimonio con Cristoforo Mora, ottimo giovane, colto, educato, religioso, ben avviato nella carriera di avvocato. Il matrimonio è una scelta maturata attentamente ma, dopo alcuni mesi, la fragilità psicologica di Cristoforo Mora compromette tutto. Allettato da una donna di modeste condizioni, tradisce la moglie e si estranea dalla famiglia, riducendola sul lastrico.

Elisabetta alle violenze fisiche e psicologiche del marito risponde con una totale fedeltà. La nascita delle figlie Marianna nel 1799 e Maria Lucina nel 1801 non migliora le cose. Costretta a guadagnarsi da vivere col lavoro delle proprie mani, segue con la massima attenzione le figlie e la cura quotidiana della casa, dedicando nello stesso tempo molto spazio alla preghiera, al servizio dei poveri e all’assistenza degli ammalati. La sua casa diventa punto di riferimento per molte persone che a lei si rivolgono per necessità materiali e spirituali. Svolge un’azione particolarmente attenta alle famiglie in difficoltà. Conosce ed approfondisce la spiritualità dei Trinitari e ne abbraccia l’ordine secolare, rispondendo con dedizione alla vocazione familiare e di consacrazione secolare. 

La fama della sua “santità”, l’eco delle sue esperienze mistiche e dei suoi “poteri taumaturgici” hanno grande risonanza particolarmente a Roma e nelle sue vicinanze. Niente, però, incide sul suo stile di vita povero, improntato ad una grande umiltà e ad un generoso spirito di servizio ai poveri e ai lontani da Dio. Dona se stessa per la conversione del marito, per il Papa, la Chiesa e la sua città di Roma, dove muore il 5 febbraio 1825. È sepolta nella Chiesa di San Carlino. Subito dopo la sua morte, il marito si converte, entra nell’Ordine secolare dei Trinitari e diviene, poi, frate Minore Conventuale e sacerdote, come gli aveva predetto la consorte. Elisabetta Canori Mora viene beatificata il 24 aprile 1994 -Anno Internazionale della Famiglia.

ALTRI ASSOCIATI ALL’ORDINE DELLA SANTISSIMA TRINITA’

San Benedetto Labre

San Lugi Re di Francia

San Vincenzo pallotti

San Giovanni Ribera

Beato Innocenzo XI papa

Beato Diego de Cadiz

SIT - SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE TRINITARIA

In occasione dell’VIII centenario dell’approvazione, da parte di Papa Innocenzo III, dell’Ordine della Santissima Trinità, e del IV centenario della riforma, da parte di Papa Clemente VIII, il Capitolo Straordinario di Ariccia del 1999, ha fondato l’organismo chiamato SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE TRINITARIA (S.I.T.) e ne ha approvato gli statuti. 

Ritornando alle radici evangeliche espresse nella Regola approvata dal Papa Innocenzo III, l’Ordine della Santissima Trinità rinnova l’impegno di fedeltà al proprio carisma e si riappropria del motto presente nel cuore di ogni Trinitario: “Gloria Tibi Trinitas et captivis libertas. 

In un mondo in cui persone soffrono oppressione, persecuzione o discriminazioni a causa della loro fedeltà a Cristo, ai valori del Vangelo e alla loro coscienza, i Trinitari vogliono raccoglierne l’anelito di liberazione, e il grido di speranza, prestando un servizio di misericordia.

Il SIT s’impegna ad incarnare il Carisma Trinitario nel campo specifico della liberazione in favore di coloro che a causa della loro fedeltà a Cristo, alla Chiesa, ai valori del Vangelo e alla loro coscienza, sono ridotti in schiavitù, oppressi, esclusi o perseguitati.

Il SIT vive e fomenta la solidarietà con le persone sofferenti sopracitate e agisce senza scopo di lucro. Lavora con mezzi pacifici e favorisce il dialogo e la tolleranza.

LOrganismo ha la sua sede centrale in Roma, presso la Curia Generalizia dell’Ordine della Santissima Trinità, Piazza Sidney Sonnino, 44 – 00153 Roma – e altre sedi in vari paesi dove l’Ordine è presente.