SAN GIOVANNI BATTISTA DELLA CONCEZIONE – RIFORMATORE DELL’ORDINE DELLA SANTISSIMA TRINITÀ. Ospitare un santo, a volte cambia la vita. È successo nella famiglia spagnola di Marco Garcia, che un giorno del 1576 ha la ventura di ospitare in casa sua Santa Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo. In questa occasione la santa predice a che Giovanni, il figlio quindicenne, avrà un futuro di santità e di grande attivismo per la riforma di una famiglia religiosa. Sono parole che lasciano il segno, ma non sconvolgono due genitori profondamente cristiani, dalla devozione viva e dalla carità operosa, che saranno lieti di donare non uno solo ma ben tre dei loro otto figli al Signore. Giovanni è intelligente, studioso, portato per la vita religiosa e i genitori non sono per niente contrari che entri nei Carmelitani. Così studia dai Carmelitani, frequenta i Carmelitani, ma si sente come impedito dall’indossarne l’abito, come se una forza interiore lo trattenesse. Entra invece a 19 anni in un convento dei Trinitari, fondati da San Giovanni di Matha e la sua vasta cultura, le due doti oratorie e la sua coerenza di vita lo rendono da subito un predicatore ricercato, ascoltato, più che convincente, al punto che, dicono i testimoni, basta una delle sue prediche infuocate per creare davanti ai confessionali lunghe file di persone da lui invogliate alla conversione. E questo a Padre Giovanni piace, forse lo inorgoglisce anche un po’, e si convince di essere un predicatore nato e che proprio questo sia ciò che il Signore vuole da lui. La sua vita scorre tranquilla, tra consensi, applausi e successi e non sente il bisogno di guardare a quella frangia di “recolletti”, cioè a quello sparuto numero di confratelli che, almeno a parole, si richiamano e vogliono vivere secondo la più rigida Regola dettata dal fondatore, anche perché lui ha un alibi di ferro: è un po’ malaticcio, ed è convinto che questo lo dispensi dall’essere più esigente con se stesso. Il Signore, però, comincia a lavorare in lui, staccandolo un po’ per volta da quella vita troppo comoda. La sua “via di Damasco” diventa il tremendo temporale in cui si trova un giorno, mentre va a predicare. Che assume ben presto le proporzioni di un uragano e lui vede la morte in faccia, ed ha paura, e fa voto di adottare uno stile di vita più rigoroso e penitente se riuscirà a salvarsi. Passato il pericolo, cerca subito di sciogliere il voto, e il Superiore lo lascia andare, anche se a malincuore. Nel 1596 entra nel convento dei recolletti di Valdepreñas e da quel preciso istante inizia una radicale inversione di marcia, un’autentica conversione che lo porta a staccarsi di colpo da amicizie influenti, onori e privilegi; rinuncia al “Dio molto zuccherato e molto sensibile” in cui aveva creduto fino ad allora, per abbracciare il Dio nudo nello strazio della croce. Si accorge subito che anche tra i “recolletti” non c’è autenticità: poveri e austeri di nome ma non di fatto, si limitano ad un’osservanza formale, senza arrivare alla radicalità che il vangelo e la Regola richiedono. Dopo neanche due mesi è nominato ministro del convento, segno che il suo nuovo stile di vita ha già contagiato qualcuno, e allora si accorge che il Signore non si accontenta della sua riforma personale, ma gli sta chiedendo molto di più. Inizia così a reintrodurre in convento la regola originaria, che non può limitarsi ad una stoffa un po’ più grossolana e rozza dell’abito, ma che prevede tra le altre cose, ad esempio, il non mangiare carne e pregare sei ore al giorno. Si assiste così ad un fuggi fuggi generale dei religiosi dal convento, spaventati dal suo rigorismo e dalla sua austerità, ma lui continua imperterrito, convinto che “questa religione non è mia, ma di Dio ed egli chiamerà e attirerà altri”. Le vocazioni infatti arrivano, raccolte soprattutto tra i giovani universitari, ma insieme arrivano anche incomprensioni, ostacoli e addirittura vere e proprie persecuzioni da parte dei confratelli e dei superiori, a dimostrazione che davvero “nemici dell’uomo sono quelli di casa sua”. A tutto ciò bisogna aggiungere le tentazioni, gli scrupoli, i dubbi e una lunghissima “notte dello spirito” che lo colpiscono in quel periodo e dai quali si salva unicamente aggrappandosi ad una fede salda, che gli fa credere che nonostante tutto Dio sta dalla sua parte. Ottiene dal Papa, nel 1599, l’approvazione del suo progetto di riforma e continua imperterrito a fondare conventi riformati, ma prosegue altrettanto imperterrita l’opera di emarginazione e di esclusione che l’Ordine attua nei suoi confronti. È ucciso dalla nefrite, dalle penitenze e dai dispiaceri il 14 febbraio 1613, ad appena 52 anni, ma non muore il suo progetto di riforma, che prosegue malgrado le opposizioni. Beatificato nel 1819 da Pio VII, Giovanni Battista della Concezione è stato canonizzato da Paolo VI nel 1975.
San SIMONE DE ROJAS nacque a Valladolid, in Castiglia (Spagna), il 28 ottobre 1552. Dodicenne, entrò nel convento trinitario della sua città natale dove fece la sua professione religiosa il 28 ottobre 1572; Studiò all’università di Salamanca dal 1573 al 1579; fu ordinato sacerdote nel 1577; insegnò filosofia e teologia a Toledo, dal 1581 al 1587; dal 1588 alla sua morte, espletò con grande prudenza l’ufficio di superiore in vari conventi della Sua provincia e fu inviato come Visitatore apostolico due volte nella sua provincia di Castiglia ed una in quella dell’Andalusia; il 14 aprile 1612, fondò la Congregazione degli Schiavi del Dolcissimo Nome di Maria; nel 1619 fu nominato precettore degli Infanti di Spagna; il 12 maggio 1621 venne eletto Provinciale della Castiglia; il 1° gennaio 1622 fu scelto quale confessore della Regina Isabella di Borbone; morì il 29 settembre 1624 a Madrid.
La sua canonizzazione, nell’anno mariano, glorifica colui che, per la sua tenera devozione a Maria, Lope de Vega paragona a S. Bernardo di Chiaravalle e a S. Ildefonso di Toledo. Fu la mamma, la virtuosa Costanza, che istillò e fece germogliare nell’anima di Simone l’amore a Maria. Il culto che le tributava continuamente insieme al marito Gregorio, fa ben capire perché Simone, quando pronunciò le sue prime parole all’età di 14 mesi, essendo da piccolo un po’ ritardato e balbuziente, disse: “Ave, Maria”: non faceva che ripetere la preghiera frequentemente recitata dai suoi genitori. La sua più grande gioia era quella di visitare i santuari mariani, di pregare Maria e con Maria, di imitarne le virtù, di cantarne le lodi, di mostrarne l’importanza nel mistero di Dio e della Chiesa.
Attraverso profondi studi teologici, egli comprese sempre meglio la missione di Maria e la sua cooperazione con la Trinità alla salvezza del genere umano e la santificazione della Chiesa. Vivrà i suoi voti religiosi sull’esempio di Maria. Riteneva che, per essere tutti di Dio come Maria, bisognava farsi suoi schiavi, o meglio, schiavi di Dio in Maria; per questo, istituì la Congregazione degli Schiavi di Maria, alla più grande gloria della Trinità, a lode della Madonna, al servizio dei poveri. Per lui, essere schiavo di Maria indicava appartenenza totale a Lei: ” Totus tuus “, per unirsi più intimamente al Cristo e, in Lui, per lo Spirito, al Padre.
La Congregazione da lui fondata aveva carattere laicale: vi potevano aderire persone d’ogni ceto sociale. Gli ascritti, tra i quali figuravano anche il re e i suoi figli, si impegnavano ad onorare Maria, assistendo maternamente i suoi figli prediletti: i poveri. La sua opera sussiste ancora in Ispagna. Colui che è ritenuto uno dei più grandi contemplativi del suo tempo, nella sua opera: ” La preghiera e le sue grandezze ” dimostra che alla dimensione contemplativa va unita quella attiva: le opere di misericordia. Fedele al carisma trinitario, promosse redenzioni degli schiavi, sovvenne a molteplici necessità dei bisognosi, consolò malati, diseredati ed emarginati di ogni genere. Quando ebbe mansioni a Corte, pose come condizione di poter continuare a dedicarsi ai ” suoi ” poveri, che aiutava in mille modi, a qualunque ora del giorno e della notte.
Molteplici sono le manifestazioni del suo amore a Maria. I pittori, che ce ne hanno tramandato l’effigie, pongono sulle sue labbra il saluto ” Ave, Maria “, che egli pronunciava così frequentemente da esser chiamato: ” Il Padre Ave Maria “. Fece stampare migliaia di immagini della Vergine Santissima con la scritta: ” Ave, Maria “, inviandole anche all’estero. Fece confezionare corone del rosario con 72 grani azzurri su cordone bianco, simboli dell’Assunta e dell’Immacolata, a ricordo dei 72 anni della vita di Maria, secondo la credenza di allora, e li diffuse dovunque, anche in Inghilterra. Avvalendosi del suo influsso a Corte, fece incidere a caratteri d’oro sulla facciata del palazzo reale di Madrid il saluto angelico a lui tanto caro: ” Ave, Maria “. Il 5 giugno 1622 impetrò dalla Santa Sede l’approvazione del testo liturgico da lui composto in onore del Dolcissimo Nome di Maria che, più tardi, il Papa Innocenzo XI estese alla Chiesa universale.
Alla sua morte avvenuta il 29 settembre 1624, le onoranze funebri a lui tributate assunsero l’aspetto di una canonizzazione anticipata. Per 12 giorni, i più valenti oratori di Madrid ne esaltarono le virtù e la santità. Impressionato dalla venerazione unanime nei suoi riguardi, il Nunzio del Papa, qualche giorno dopo la sua morte, l’8 ottobre seguente, ordinò che si iniziassero i processi, in vista della sua glorificazione da parte della Chiesa. Clemente XII, il 25 marzo 1735 riconobbe l’eroicità delle sue virtù e Clemente XIII lo beatificò il 19 maggio 1766.
Il 3 luglio, prima che si concludesse l’Anno Mariano, il Papa Giovanni Paolo II iscrisse nel catalogo dei santi questo grande servo di Maria e padre dei poveri-
SAN MICHELE DE SANTI nacque a Vich (Catalogna), non lontano da Barcellona, il 29 settembre 1591, da Enrico Argemír e Margherita Monserrada. Rimasto orfano di padre all’età di undici anni, sentendosi chiamato alla vita religiosa, dovette superare molte opposizioni familiari prima di poter realizzare le sue aspirazioni e solo nell’agosto 1603 fu accolto nel convento dei Trinitari di Barcellona, dove ebbe a maestro il venerabile Paolo Aznar. Il 30 settembre 1607 emise la professione religiosa. Poco tempo dopo, conobbe la riforma compiuta nell’Ordine della S.ma Trinità dal b. Giovanni Battista della Concezione ed approvata dal papa Clemente VIII nell’anno 1599 e ottenne di potervisi trasferire; ripetuto l’anno di noviziato, fece la nuova professione tra i Trinitari Scalzi.
Subito si manifestarono nel giovane religioso fenomeni mistici. In Chiesa, nel coro e perfino nel refettorio, Michele era preso all’improvviso dallo Spirito del Signore e rapito in estasi. Una sola parola, un semplice sguardo al Crocifisso bastavano a farlo entrare in rapimento. I superiori lo inviarono a Siviglia per farlo esaminare da sacerdoti, esperti conoscitori di anime e il loro giudizio fu quanto mai favorevole. I superiori, credettero giustamente, che un religioso così pieno d’amore di Dio avrebbe potuto fare un ottimo apostolato, dentro e fuori del convento. Fu prima eletto vicario del convento di Baeza e poi superiore di Valladolid, dove allora si trovava la corte del re di Spagna. A Baeza Michele operò molte conversioni. La sua santa vita e le estasi davano alle parole che egli rivolgeva agli studenti dell’università, ai caballeros e ai pubblici peccatori nel confessionale e dal pulpito, il valore di messaggi di Dio. Alla corte di Valladolid fu molto stimato e favorito dal re Filippo III, il quale, con tutta la sua famiglia, lo consultava sui problemi spirituali.
Morì il 10 aprile 1625, all’età di trentatré anni. L’8 giugno 1862, nella festa di Pentecoste, fu canonizzato da Pio IX insieme con i martiri giapponesi. Michele che aveva compiuto gli studi nelle celebri università di Baeza e Salamanca, sotto la direzione dei più grandi teologi, scrisse anche un trattato intitolato La tranquillità dell’anima, ed un cantico spirituale in versi sulla via unitiva, giudicati assai positivamente dai maestri di spiritualità e dai letterati; la sua festa è stata fissata al 5 luglio. Nell’ultima ed. del Martirologio Romano però, egli è iscritto nel suo dies natalis, 10 aprile.